Anche a Cernobbio si parla di idrogeno, Alverà: “L’Italia può diventare un hub internazionale”

di Francesco Bottino

L’Italia ha tutte la caratteristiche per poter assumere un ruolo di primo piano nel futuro scenario di crescita dell’industria europea dell’idrogeno verde, proponendosi quale hub internazionale e ‘ponte’ logistico tra le aree dove si concentrerà la produzione, sopratutto il Nord Africa, e i principali mercati di consumo del Nord Europa. Condizione che potrà avere un impatto molto positivo sull’economia nazionale.

E’ quanto emerge dal report “H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia”, realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Snam e presentato in occasione del forum in corso a Cernobbio dal Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti, Valerio De Molli, e dal CEO di Snam, Marco Alverà.

“Le caratteristiche geografiche del nostro Paese, un ponte naturale tra Vecchio Continente e sponda sud del Mediterraneo, ci pongono nella posizione migliore per diventare un hub dell’idrogeno verde, svolgendo anche una funzione di canale logistico privilegiato tra i Paesi del Nord Africa, che grazie all’abbondanza di spazio e sopratutto di energia solare a basso costo, potranno diventare un centro produttivo importante, e i mercati di destinazione del Nord Europa, dove la domanda interna probabilmente supererà la capacità produttiva locale” ha spiegato Alverà.

Un situazione da sfruttare e valorizzare, sopratutto alla luce di un’altra peculiarità della Penisola, ovvero una rete infrastrutturale di gasdotti particolarmente estesa e capillare, in gran parte già in grado di poter gestire idrogeno, oltre che metano.

Infine, ha aggiunto il CEO di Snam, confortato dai risultati dello studio di Ambrosetti, “l’Italia ha una tradizione manifatturiera e un know how che rendono la nostra industria pronta a cogliere le opportunità che lo scale-up dell’idrogeno potrà offrire”.

Un percorso che tuttavia non potrà compiersi senza il necessario sostegno politico e istituzionale: “Molti Paesi sono già partiti nel corso degli ultimi 3 anni e lo scorso luglio anche la Commissione Europea ha presentato la sua strategia dell’idrogeno” ha ricordato De Molli. “L’Italia è ancora indietro da questo punto di vista: è necessario definire al più presto una strategia nazionale che coinvolga tutti gli stakeholder e che riconosca un ruolo propulsivo e trainante alle nostre grandi corporation energetiche, come Snam, Eni ed Enel”.

La sfida non è semplice, ma il gioco, come si suol dire, vale sicuramente la candela. A confermarlo sono i numeri messi in fila nel dossier di Ambrosetti: in uno scenario di sviluppo ‘standard’, la creazione di una catena del valore dell’H2 potrà generare impatti sul tessuto produttivo nazionale per 4,5 miliardi di euro all’anno nel 2030 e per 21 miliardi di euro all’anno nel 2050 (lo stesso valore attribuibile oggi al settore tessile in Italia), per un valore totale cumulato che tra il 2020 e il 2050 arriverebbe a 900 miliardi di euro. Considerando invece uno scenario di sviluppo ‘accelerato’, Ambrosetti stima valori ben maggiori: 7,5 miliardi all’anno nel 2030 e 35 miliardi all’anno nel 2050 (oggi l’intera industria farmaceutica genera un impatto pari a 32,5 miliardi di euro all’anno), per un valore totale cumulato che tra il 2020 e il 2050 supererebbe i 1.500 miliardi di euro.

Un impatto straordinario, che – sempre nel caso di uno scenario di sviluppo accelerato – porterebbe con se anche 540.000 posti di lavoro generati da qui al 2050.

Per per raggiungere questi risultati, oltre ad uno scale-up industriale e ad un deciso sostegno di natura politica, servirà anche un cambio di paradigma culturale: “L’idrogeno – secondo De Molli – soffre infatti una serie di pregiudizi: molti ancora oggi lo considerano troppo costoso, pericoloso e anche un fattore che può sottrarre risorse all’energia elettrica”.

Pregiudizi, appunto, come evidenzia Alverà: “La questione dei costi è stata vera per molti anni, ma oggi non lo è più. Nel 2002 l’H2 green costava mediamente 60 volte il petrolio, mentre oggi costa soltanto il doppio e, considerando il trend discendente del costo dell’energia rinnovabile, entro 5 anni penso che potrà raggiungere e pareggiare i costi medi del greggio”.

Per quanto riguarda la pericolosità, “è evidente che qualsiasi tipo di prodotto energetico ha un margine di rischio, ma l’idrogeno da questo punto di vista non si differenzia da altri combustibili. Se gestito con la dovuta competenza, nel rispetto dei migliori standard di safety, il problema da questo punto di vista non si pone”. Infine, “non dobbiamo temere una competizione con le rinnovabili, che non esiste. L’idrogeno verde non è una fonte energetica, come sono invece il solare e l’eolico, ma un vettore, che serve proprio per stoccare e distribuire in modo più efficiente l’energia prodotta da fonti rinnovabili e pulite”.

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