Costi dell’idrogeno green: Confindustria, conti (reali) alla mano, conferma che il settore non partirà senza un sostegno agli opex
di Francesco Bottino
Roma – Sono due i concetti chiave emersi durante il convegno ‘Modelli di business per l’utilizzo dell’H2 e lo sviluppo della filiera in Italia’, organizzato a Roma da Confindustria e ANIMA Confindustria Meccania Varia: il primo, rappresentato in modo esplicito dalla maggioranza dei relatori, è relativo alla necessità di affiancare ai finanziamenti ai capex dei progetti di idrogeno anche un sostegno diretto agli opex, imprescindibile per dare avvio ad un’economia dell’idrogeno nel Belpaese; il secondo, implicito ma evidente leggendo i dati presentati dalla due associazioni e della molte imprese che sono intervenute nel corso del seminario capitolino, riguarda il fatto che la produzione di H2 decentrata, e quindi co-localizzata rispetto all’offtaker, potrà essere una soluzione utile per far partire il mercato ma non potrà costituire il modello di lungo termine tramite cui rendere il vettore un’alternativa realmente competitiva con i combustibili fossili.
Il Governo italiano pare d’altra parte ben consapevole che i soli contributi per i capex, previsti dal PNRR, non saranno sufficienti ad abbattere il gap di costo che oggi esiste tra l’H2 green e i combustibili tradizionali, poiché – come ha rivelato Mauro Mallone, Direttore Generale Direzione Incentivi Energia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica durante il suo intervento – qua la cronaca dettagliata – il MASE sta già lavorando al ‘Decreto Tariffe’, che verosimilmente verrà modellato adottando la formula dei ‘contract for difference’ da assegnare tramite aste ma la cui consistenza economica è ancora da definire, risultando questo l’aspetto più complesso da gestire alla luce della necessità di trovare un equilibrio tra le legittime aspirazioni delle imprese e il fatto che le risorse pubbliche, mese a disposizione dei contribuenti, vadano spese con ‘misura’.
Proprio per provare a dare, alle aziende ma anche al decisore pubblico, una base di partenza concreta su cui avviare le opportune valutazioni – come ha spiegato Alberto Zerbinato, Referente Idrogeno del Consiglio di Presidenza della Federazione ANIMA – Confindustria, insieme alla sua affiliata che rappresenta la filiera della meccanica, ha realizzato uno studio approfondito sui modelli di business: “E’ necessario avere riferimenti precisi e puntuali rispetto al costo di produzione dell’idrogeno in Italia. Anche se i risultati sono forse meno ottimistici rispetto alle previsioni circolate negli ultimi tempi, sono il solo elemento utile per prendere delle decisioni a riguardo. E questo è un passaggio che non possiamo più rimandare, perché il costo di non decidere sarebbe ancora più elevato”.
Adentrare nel vivo dell’argomento, durante il panel dedicato all’utilizzo di idrogeno nei sistemi di combustione e di generazione di calore di processo, ci hanno pensato Giovanni D’Anna dell’Area Energia di Confindustria Ceramica e Alessandro Lanzellotto della Commissione Energia di Assovetro, in rappresentanza di due settori – ceramica e vetro, appunto – tipicamente ‘hard to abate’: in entrambi i casi, l’elettrificazione diretta non può essere la soluzione, principalmente per limiti tecnici (necessità di temperature molto elevate e dimensione dei forni), e quindi è necessario trovare un’alternativa al metano utilizzato oggi, per abbattere le emissioni. Si guarda allora all’H2 green, che potrebbe essere già oggi utilizzato in blend col gas fino al 20% senza richiedere modifiche agli impianti. Il problema, tuttavia, è un gap di costo che, alle condizioni attuali, apparedi fatto insormontabile.
Ma a quanto ammonta, effettivamente, questa distanza che oggi parrebbe essere il principale ostacolo (ma non l’unico, è bene sottolinearlo) all’impiego di H2 su larga scala nell’industria nazionale?
Proprio su questo si concentra lo studio, illustrato in dettaglio da Paola Brunetto, Head of Hydrogen Business Unit di Enel Green Power: “Per delineare le proiezioni, che costituiscono dei business model e non dei business case (quindi analisi teoriche, per il momento), abbiamo preso in esame uno stabilimento medio di vetro e uno di ceramica, sviluppando diversi scenari” ha spiegato la manager del colosso energetico italiano.
Sono stati calcolati i possibili consumi con diversi mix di idrogeno e metano (20% in volume, 50% e 100%) e sono state ipotizzate 3 differenti taglie di elettrolizzatori, con relativi capex (2 MW di capacità con 5,8 milioni a MW di investimento necessario; 5 MW con 4,1 milioni a MW; 10 MW con 3,2 milioni a MW di investimento) per arrivare alla stima del costo finale dell’idrogeno che deve tener conto anche del costo dell’energia e del numero di ore di utilizzo dell’elettrolizzatore.
“Nello scenario base, quindi ipotizzando di utilizzare un elettrolizzatore da 5 MW per soddisfare il fabbisogno relativo all’impiego di un mix al 50%, il LCOH (Levelised Cost of Hydrogen) sarebbe compreso tra 9 e 14 euro a Kg” ha illustrato Brunetto. “Se consideriamo il contributo in termini di capex che potrà derivare dai fondi stanziati dal PNRR per gli hard to abate, questo valore potrebbe scendere tra 8 e 11 euro a Kg, e arrivare nel range 6-9 euro al Kg in uno scenario ‘aggressivo’, ovvero particolarmente ottimistico”. In ogni caso, ha sottolineato la dirigente del gruppo Enel, “si tratta ancora di valori ben lontani da quelli che potrebbero rendere l’idrogeno davvero competitivo”. Calcoli che quindi confermano, con metodo analitico, la necessità di introdurre incentivi agli opex consistenti, per assottigliare il gap di costo tra idrogeno green e combustibili fossili.
Una soluzione “potrebbe essere costituita da formule di aggregazione della domanda, che consentirebbero di centralizzare la produzione e sfruttare impianti di maggiori dimensioni in grado di offrire un LCOH più contenuto, ma si tratta di un obbiettivo di non facile realizzazione, anche se in questo senso le hydrogen valley potrebbero contribuire”.

È tuttavia indubbio che, se da qualche parte si vuole partire è necessario farlo proprio da un sistema di produzione co-localizzato con l’user, come dimostrano i progetti su cui stanno lavorando Eni e Saras, protagonisti della sessione dedicata all’utilizzo di H2 come feedstock nel comparto della raffinazione (e della bioraffinazione) e introdotta dagli interventi di Giuseppe Astarita, della Direzione Centrale Tecnico Scientifica di Federchimica, e di Franco del Manso, responsabile dei Rapporti Internazionali, Ambientali e Tecnici di UNEM (la ex Unione Petrolifera; ndr).
Andrea Pisano, Responsabile Iniziative Idrogeno Eni, e Giulia Maiolo, Iniziative Idrogeno Eni, hanno parlato del progetto che il ‘cane a sei zampe’ sta portando avanti insieme ad Enel (e che ha ottenuto finanziamenti nell’ambito del programma IPCEI Hy2Use) che prevede di produrre idrogeno green per sostituire una quota delle 30.000 tonnellate annue di H2 grigio attualmente utilizzate nella bioraffineria di Gela: “Utilizzeremo un elettrolizzatore da 20 MW alimentato con un impianto fotovoltaico da 60 MW. Per quanto riguarda i costi, abbiamo ipotizzato due scenari: nel primo l’elettrolizzatore lavora 3.300 ore all’anno consentendo di produrre 1.100 tonnellate di idrogeno verde e consentendo quindi di coprire il 4% del consumo della bioraffineria, mentre nel secondo le ore lavorate salgono a 5.000, con una produzione di 1.700 tonnellate di H2 (6% del totale). A seconda del costo dell’energia che viene immesso come input, otteniamo LCOH compresi tra 14 e 10,4 euro a Kg. Valori che – hanno sottolineato Pisano e Maiolo – non renderebbero il progetto economicamente sostenibile senza un contributo diretto anche gli opex, poiché il delta di costo con l’H2 di origine fossile sarebbe compreso tra 7 e 11 euro al Kg”.
La musica non cambia quando a parlare sono Claudio Allevi, Responsabile Innovazione & Sviluppo di Saras, e Gianluca Colombo, Area Nuove Tecnologie di Saras, azienda che in partnership con Enel (tramite la joint-venture paritetica SardHy Green Hydrogen, anch’essa assegnataria di fondi dell’IPCEI Hy2Use) sta sviluppando un progetto che prevede l’installazione di un elettrolizzatore PEM da 20 MW alimentato con energia rinnovabile de-localizzata (ma prodotta sempre in Sardegna, da Enel) e da acqua di mare desalinizzata, per produrre idrogeno green con cui sostituire parte del consumo di H2 fossile della raffineria di Sarroch (Cagliari).
“Abbiamo immesso come input della formula capex pari a 50 milioni di euro e un funzionamento dell’elettrolizzatore di 5.200 ore annue, per una produzione di 1,8 milioni di Kg di H2 all’anno”. Date queste premesse, e considerando una vita utile dell’impianto (che entrerà in full production nel 2026) di 20 anni + 2 di sviluppo, e un costo dell’energia di 104 euro a MW/h, “abbiamo ottenuto un LCOH di 10,7 euro a Kg”. Il valore è leggermente inferiore a quello degli altri progetti, in ragione delle efficienze produttive che sono possibili nella raffineria sarda, ma si tratta di livelli ancora molto lontanti dai circa 2-3 euro a Kg su cui si attesta attualmente l’idrogeno grigio.
