Crema (FBK): “Studiamo l’H2 insieme all’industria, che in Italia ha grandi potenzialità”
di Francesco Bottino
La Fondazione Bruno Kessler, ente di ricerca di interesse pubblico, senza scopo di lucro, basato a Trento e riconosciuto come un’eccellenza assoluta a livello nazionale in diversi settori, da oltre un decennio si occupa anche di idrogeno, nell’ambito della sua unità dedicata all’energia e guidata da Luigi Crema, che in questa intervista esclusiva racconta a Hydronews come si svolge il lavoro di FBK sull’H2.
Su quali aspetti si concentra la vostra attività di ricerca?
Lavoriamo in tutti i segmenti della catena del valore, a partire ovviamente dalla produzione. Studiamo i processi di elettrolisi ad alta temperatura, collaborando con partner industriali come SOLIDPower, con cui lavoriamo in un ambiente di laboratorio parte di un accordo di collaborazione e che vede, in alcuni dei progetti coinvolti, end-user come Shell. Ma ci occupiamo anche di tecnologie emergenti come l’elettrolisi a bassa temperatura.
Nei nostri laboratori possiamo svolgere ricerca, test e validazione di componenti su scala sia piccola che reale: la nostra attività solitamente si svolge sempre in stretta collaborazione con l’industria. Questo modello è alla base del nostro metodo di lavoro. Proprio in quest’ottica, svolgiamo anche attività di co-sviluppo in collaborazione con start-up e aziende, che possiamo ospitare, sulla base di accordi specifici, anche fisicamente nei nostri laboratori.
E per quanto riguarda gli altri segmenti della filiera?
Nel settore dell’idrogeno siamo attivi un po’ su tutti i segmenti della filiera, dalla produzione alla logistica ai vari usi finali.
In relazione allo stoccaggio dell’idrogeno stiamo studiando sistemi di accumulo in forma solida (magnesio e titanio-ferro), e sistemi di compressione innovativi oltre che altri carrier come l’ammoniaca. Per quanto riguarda invece gli usi finali, da tempo lavoriamo a progetti di mobilità ad H2: siamo presenti nell’ambito di un progetto dimostratore sui bus a fuel cell attivo in numerose città europee e finanziato dal Fuel Cell and Hydrogen Joint Undertaking come parte del programma H2020. Stiamo poi collaborando con alcune aziende che hanno come obiettivo lo sviluppo di mobilità alimentata ad idrogeno. In Italia, per quanto riguarda il settore ferroviario, abbiamo fornito supporto su alcuni studi legati all’utilizzo di idrogeno, sia all’interno delle attività dell’associazione H2IT, sia in diretta collaborazione con alcune Regioni.
In ambito industriale, invece, l’attività si concentra sul fornire supporto di competenze e know how all’industria. I temi su cui siamo attivi sono tra i più vari, tra cui lo switch verso l’H2 di impianti siderurgici e chimici (in quest’ultimo caso in relazione ad esempio alla produzione di ammoniaca verde e al suo utilizzo come vettore energetico).
In tutte queste situazioni, quale tipo di contributo FBK è in grado di offrire?
Possiamo svolgere studi di fattibilità, due diligence, analisi tecnico-economica, sviluppo di nuove tecnologie in ambiente simulato, fino a validazione e sperimentazione.
Abbiamo poi svolto un ruolo attivo nella definizione di piani regionali supportando ad esempio la Provincia di Trento in questo, in particolare APRIE (Agenzia Provinciale delle Risorse Idriche e l’Energia), e anche a livello nazionale abbiamo dato un contributo importante alla definizione del piano nazionale strategico di “Mobilità a Idrogeno” (inserito nel DL 257 di dicembre 2016 in recepimento della Direttiva Europea DAFI).
La Fondazione ha anche un ruolo attivo nell’associazione H2IT…
Siamo entrati nell’associazione diversi anni fa, nel momento in cui la prima ondata di entusiasmo riguardo all’idrogeno si era un po’ affievolita e non si era ancora avviata la presente fase di sviluppo. Abbiamo fatto parte del gruppo di lavoro Mobilità Idrogeno Italia, che si è attivato per la realizzazione del Piano Nazionale Strategico. Sono attivamente coinvolto a supporto dell’Associazione di prima persona nel ruolo di Vicepresidente, dove, assieme agli altri soci, abbiamo delineato un programma d’azione con obbiettivi concreti per dare all’idrogeno e alla relativa industria un ruolo maggiore e trasformarlo in una vera opportunità di sviluppo di industria e di business. E ora l’associazione è tornata ad essere molto vitale: i suoi aderenti sono raddoppiati nel giro degli ultimi due anni.
Come si sta muovendo l’Italia sul fronte idrogeno, anche alla luce del contesto europeo?
Paesi come la Germania e la Francia avevano un vantaggio temporale, anche in termini di scelte politiche e strategiche. Ma ora anche noi ci stiamo muovendo e l’attenzione delle istituzioni è sempre più forte. Basti pensare che nella SEN (Strategia Energetica Nazionale) l’idrogeno era citato in una nota a piè di pagina, mentre ora è presente in maniera considerevole nel PNIEC (Piano Energia e Clima) e ancor di più diventa un capitolo specifico del piano sul Recovery Fund con importanti stanziamenti figurati.
L’idrogeno ormai è in cima alla lista delle priorità anche in Italia, anche grazie all’interesse del comparto industriale. Su tutti spicca l’interesse di Snam, un’azienda di eccellenza internazionale sul tema delle reti gas, molto attiva sul processo di trasformazione del settore del gas verso vettori sostenibili e verdi, tra cui l’idrogeno. Ma se ne potrebbero citare molte altre rappresentanti di filiere varie e molto articolate, parte del tessuto economico industriale nazionale.
Che tipo di incentivi pubblici potrebbero essere più efficaci per il settore?
Il tema è individuare le principali barriere di mercato e scegliere le misure più efficaci per abbatterle. Lo scorso novembre, in sede di H2IT, è stato avviato un tavolo tecnico incaricato di studiare tutte le possibili barriere legislative ed economiche in ogni segmento della filiera dell’idrogeno. Questo studio, una volta completato, sarà sicuramente di grande utilità per il decisore politico e per le autorità di riferimento. La filiera italiana, in questo senso, ha grandi potenzialità da esprimere.
Qual’è la sua posizione nell’ambito del dibatto in corso su idrogeno blu e verde?
Dobbiamo stare attenti a non ritardare lo sviluppo dell’idrogeno verde con la scusa che quello blu sia un tampone sufficiente. Ma questo non vuol dire che non si debba partire fino a che non avremo abbastanza H2 green a prezzi competitivi, cosa che richiederà del tempo. La versione ‘blu’, prodotta con SRM (Steam Methane Reforming) aggiungendo la tecnologia del CCS, è uno strumento temporaneo ma utile per avviare la transizione e dare impulso pressoché immediato ad un mercato dell’idrogeno. Poi non c’è dubbio che l’obbiettivo a cui tendere, e quindi su cui concentrare sforzi e risorse, deve essere l’idrogeno verde.
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