Idrogeno come fuel per le navi: prospettive e criticità secondo la European Maritime Safety Agency (EMSA)
Costi, del fuel e delle infrastratture terrestri e di bordo, e disponibilità sono i due principali ostacoli che potrebbero frenare la diffusione dell’idrogeno come combustibile per le navi, nonostante un potenziale di decarbonizzazione che non può essere messo in dubbio.
A queste conclusioni è arrivata la European Maritime Safety Agency (EMSA), agenzia europea con sede a Lisbona che alla materia ha dedicato un approfondito e corposo studio, intitolato ‘Potential of hydrogen as fuel for shipping’, consultabile integralmente a questo link.
A valle di un’analisi molto dettagliata dell’attuale stato di evoluzione dell’industria dell’H2, sui possibili utilizzi in ambito marittimo dal punto di vista della ‘readyness’ delle tecnologie e dei costi (copex e opex), nonché degli ostacoli di ordine tecnico, operativo e normativo che potrebbero rallentare o mettere a rischio questa transizione, l’EMSA ha raccolto una serie di considerazioni, partendo dal presupposto che l’impiego di H2 come fuel per le navi consentirebbe di ridurre del 96% le emissioni di CO2 rispetto ai combustibili tradizionali come MGO (marine gas oil) e HFO (heavy fuel oil). “Un potenziale che rende l’idrogeno una soluzione interessante per lo shipping”.
L’Agenzia, però, chiarisce subito che sarà necessaria una fortissima crescita della capacità di produzione globale di idrogeno verde (considerando questa variante come la più efficace nel ridurre le emissioni well-to-ship e non solo tank-to-ship), che attualmente si ferma a circa 0,3 GW. E se le previsioni lasciano presupporre che la disponibilità di energia rinnovabile al 2040 sarà sufficiente per coprire la potenziale domanda di H2 green proveniente dall’industria marittima, le proiezioni sull’incremento della capacità di elettrolisi non sono altrettanto promettenti. Inoltre, non va dimenticato che lo shipping dovrà competere con altre industrie per assicurarsi i volumi di idrogeno che verranno prodotti.
Per quanto riguarda la ‘readyness’ delle tecnologie di utilizzo, le fuel cell e i motori a combustione in grado di bruciare idrogeno (o derivati) sono già disponibili, anche se nel secondo caso al momento sono stati messi a punto solo piccoli propulsori navali a 4 tempi, mentre ancora nessun fornitore pare avere in programma di sviluppare propulsori navali di grandi dimensioni a 2 tempi alimentati a idrogeno.
In generale, comunque, i sistemi di bordo per la gestione del combustibile dedicati all’idrogeno – sottolinea l’EMSA – sono attualmente costosi, così come lo sono i serbatoio per lo stoccaggio a bordo dell’H2 in forma gassosa, che hanno anche una bassa efficienza in termini di volume e quindi sono più adatti a navi impiegate in servizi di corto raggio e regolari, che percorrono sempre la stessa rotta (quindi sono sicure di trovare il combustibile nei porti abitualmente visitati) e non hanno necessità di stoccare grandi quantitativi di fuel a bordo (operando su tratte relativamente brevi).
“In ogni caso, al netto del maggior costo complessivo (del fuel stesso e dell’equipment), lo studio non ha rivelato altre barriere all’utilizzo di idrogeno come fuel navale, una volta che la sua distribuzione in ambito portuale sarà adeguata” ha evidenziato l’agenzia.

Come detto, è il costo a costituire – per il momento ma anche in futuro, secondo l’EMSA – il principale ostacolo alla diffusione del vettore energetico in ambito marittimo.
In termini di TCO (total cost of ownership), infatti, il gap di costo tra una nave alimentata con idrogeno blu e un mezzo che utilizzata combustibili tradizionali si assottiglierà fin quasi a sparire nel 2050 (a patto che calino i costi di produzione dell’idrogeno e i capex per i sistemi di gestione del fuel a bordo e che parallelamente aumentino le tariffe della CO2), ma lo stesso non avverrà in relazione all’utilizzo di H2 green.
Considerando come esempio una nave traghetto per il trasporto di auto e persone, il TEC complessivo di un mezzo a idrogeno verde sarà di circa 3 volte quello di una nave tradizionale almeno fino al 2030, mentre sarà del 20-30% più alto al 2050. Una differenza che si ridurrà senza però sparire del tutto (e questo nello scenario più ottimista).
Il dossier dell’EMSA prende poi in esame il quadro regolatorio, evidenziando una carenza normativa in relazione all’utilizzo del vettore energetico come fuel navale, situazione che “potrebbe costituire una barriera alla sua diffusione”, ma che verosimilmente ssarà superate nel prossimo futuro, considerando che le principali società di certificazione internazionali (compreso il gruppo italiano RINA: ndr) stanno già lavorando a linee guida e nuovi standard in materia.
Il tema centrale è, ovviamente, la sicurezza: le maggiori preoccupazioni riguardano il range di infiammabilità del combustibile, le potenziali perdite nonché le esplosioni. Tutte situazioni che – mette nero su bianco l’EMSA – vanno ulteriormente studiate e affrontate per implementare procedure in grado di prevenire o mitigare i rischi.
In conclusione, lo studio conferma che, “pur essendo un fuel nuovo per lo shipping, e un prodotto non trasportato comunemente via nave, l’idrogeno ha un significativo potenziale di decarbonizzazione per l’industria marittima”. Ma le sfide da affrontare sono molte e riguardano principalmente “la diponibilità dell’H2, il costo lego allo sviluppo di un’infrastrutture per il rifornimento del combustibile alle navi, e le applicazioni tecnologie per lo stoccaggio del fuel a bordo”.