Idrogeno per applicazioni stazionarie: Italia ben posizionata grazie ad aziende leader e ricerca
di Francesco Bottino
Non solo mobilità e industria pesante: ormai è chiaro che l’idrogeno, se adeguatamente valorizzato, potrà essere largamente utilizzato anche nelle cosiddette applicazioni stazionarie, di cui il principale esempio è il riscaldamento degli edifici, contribuendo così alla decarbonizzazione di un ulteriore segmento dell’economia.
Un ambito di applicazione in cui l’Italia è pronta a svolgere un ruolo di leadership: il nostro Paese, infatti, è ricco di centri di ricerca che stanno lavorando in questo filone, ma anche di aziende produttrici di impianti e componentistica in grado di competere ad armi pari con i proprio ‘colleghi’ a livello internazionale.
Ne è sicura Viviana Cigolotti, Ricercatrice dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) con esperienza più che decennale nel campo dell’idrogeno e delle celle a combustibile nonché moderatrice del seminario online “Energia dall’idrogeno: applicazioni stazionarie e supply chain”, quarto di una serie di 5 webinar dedicati all’idrogeno organizzati dall’associazione italiana H2IT, da ANIMA Confindustria Meccanica Varia e da Assolombarda.
Dopo i saluti introduttivi di Bruno Fierro, Vicepresidente ANIMA Confindustria con delega all’Internazionalizzazione, che ha espresso la sua soddisfazione e quella dell’associazione per “l’interesse suscitato da questo ciclo di eventi, che stanno registrando una media di 350 partecipanti ognuno”, Cigolotti ha fornito un’ampia introduzione sulle diverse tipologie di celle a combustibile utilizzate per applicazioni statiche, “molto diffuse soprattutto in Giappone, con 14.000 impianti installati, e in Europa, con 4.000 unità, per quanto riguarda la piccola taglia, mentre per le taglie di maggiori dimensioni spiccano gli USA e la Corea del Sud”.
L’Europa però sta investendo molto “e diversi – ha ricordato la ricercatrice dell’ENEA – sono i programmi di finanziamento dedicati, come il FCH JU, che presto cambierà nome in ‘Clean Hydrogen for Europe’, e anche i progetti che hanno ottenuto il sostegno di Bruxelles come il PEACE, che prevede l’installazione di 2.500 sistemi e ha un budget di 90 milioni di euro (in partnership pubblico-privato), e il Ch2p”.
Un settore in fermento quindi, “in cui – ha concluso il suo intervento Cigolotti – l’Italia è ben posizionata per fare la sua parte come Paese, senza dover andare al traino di nessuno, grazie alle molte aziende attive e anche allo sviluppo della ricerca”.
Tra queste realtà produttive c’è sicuramente ICI Caldaie, il cui CEO Alberto Zerbiano ha ricordato che “il nostro interessamento all’idrogeno e alle celle di combustibile risale al 2003. Abbiamo partecipato a diversi progetti europei e sviluppato partnership, perché nessun’azienda può riuscire a fare tutto da sola, e oggi siamo molto organizzati su questo fronte. Abbiamo infatti un laboratorio che opera nello sviluppo di soluzioni sia di fuel process per la produzione di idrogeno sia di integrazione di sistemi a fuel cell per produrre energia e calore con idrogeno. Parliamo – ha quindi precisato l’Amministratore delegato della società veronese – di macchine per micro-cogenerazione, ma di dimensioni non piccolissime, nel range 10-30 Kw”.
ICI ha poi sviluppato un reattore a membrana che produce idrogeno puro ad alta efficienza partendo da biogas, che verrà utilizzato nell’ambito del progetto europeo Bionico. “Oggi usare l’idrogeno al posto del gas naturale, per il riscaldamento, ha un costo più elevato: noi dobbiamo lavorare affinché il costo dello switch, che pure ci sarà, sia sostenibile da parte dell’utenza”.
Un’altra eccellenza italiana, questa volta in ambito fuel cell, è SOLIDpower, azienda trentina che impiega 150 persone ed è presente direttamente anche in Svizzera, Germania e – tramite una recente acquisizione – in Australia.
“Il nostro prodotto di punta – spiega il Business Development Manager Italy Michele Gubert – è la cella BlueGEN, che trasforma il metano in idrogeno per ricavarne poi sia elettricità che riscaldamento. Ma abbiamo un range molto vario di prodotti e in totale ad oggi abbiamo installato in tutto il mondo 1.700 impianti, di cui la maggior parte in Europa e principalmente in Germania, dove c’è un sistema di incentivi molto efficace”.
Quello del sostegno pubblico a questo tipo di tecnologie innovative è un tema chiave secondo Gubert: “Gli incentivi del 65% introdotti in Italia hanno dato una risposta positiva, e ora, con l’inserimento dei sistemi di cogenerazione nell’ultimo decreto legge e l’innalzamento del credito d’imposta al 110%, ci attendiamo un impatto ancor più significativo”.
Anche BAXI, azienda di Bassando del Grappa che impiega 700 persone e fattura quasi 300 milioni di euro – parte del gruppo olandese BDR Thermea – sta studiano da tempo le applicazioni stazionarie dell’idrogeno, ma da una prospettiva diversa: “Data la nostra lunghissima esperienza nell’ambito delle caldaie a gas – rivela infatti Antonio Sandro, R&D Director dell’azienda veneta – abbiamo deciso di sviluppare un impianto in grado di bruciare idrogeno, piuttosto che usare l’H2” per alimentare celle a combustibile”.
I primi test si sono svolti nel 2017 e ormai è questione di mesi per l’industrializzazione dei prototipi: “L’obbiettivo è arrivare alla commercializzazione del prodotto, che dovrà mantenere le stesse caratteristiche di affidabilità e flessibilità di utilizzo di una tradizionale caldaia a gas, attorno alla metà del 2021”. Le sfide tecniche non sono poche, “perché – ha assicurato Sandro – puntiamo a produrre una caldaia che possa bruciare sia metano che idrogeno a bassa pressione. Possiamo contare sui dati ricavati da un progetto pilota in Olanda, dove c’è una caldaia di questo tipo già in funzione, a cui presto si affiancherà una nuova sperimentazione con 10 caldaie a idrogeno che verranno installate in Gran Bretagna”.
Al netto delle diverse modalità con cui potrà evolversi l’impiego di idrogeno in applicazioni stazionarie, quello che è certo è che un ruolo determinante sarà riservato ai sistemi di trasporto e distribuzione dell’H2, come sa bene Gianfranco De Feo, Marketing Advisor di Pietro Fiorentini, azienda italiana tra i leader mondiali (con 16 stabilimenti in 16 Paesi) nella produzione di componenti e sistemi per le reti del gas naturale: “L’attuale infrastruttura dovrà adattarsi, sia dal punto di vista tecnico che del modello di business, ad un futuro sempre più caratterizzato dai green gas, dal biometano all’idrogeno”.
I driver principali, come il sector coupling, porteranno, per De Feo, verso la creazione di “energy hub in grado di integrare in modo flessibile ed efficiente diversi vettori energetici”.
Molto importante sarà poi l’evoluzione del quadro regolatorio, “che per l’idrogeno è ancora carente, anche se gli enti preposti stanno lavorando con impegno sul tema”, e anche – ovviamente – l’adeguamento tecnico delle infrastrutture: “Pietro Fiorentini sta già lavorando su diversi progetti concreti relativi a contatori specifici per idrogeno o per le miscele (come quelle, prima al 5% poi al 10%, utilizzate da Snam per le sue recenti sperimentazioni), valvole e misuratori di pressione, ma anche sulla bidirezionalità delle condotte, per esempio”.
Fondamentale in tale contesto lo studio dei materiali e dei processi, “senza dimenticare che i gestori delle reti, nel mondo dell’energia che cambia, dovranno riuscire anche ad immaginare nuovi modelli di business efficaci e in grado di produrre risultati in uno scenario in costante evoluzione”.