Idrogeno verde: le preoccupazioni dell’industria italiana su costo elevato e politiche comunitarie a trazione nordeuropea
di Francesco Bottino
La diffusione dell’idrogeno costituisce indubbiamente un’opportunità – l’unica, in alcuni casi – per decarbonizzare i settori ‘hard to abate’. Su questo, anche i player industriali italiani sono tutti d’accordo, me tra loro non mancano dubbi e preoccupazioni riguardo questa futura transizione, in special modo in relazione ai costi – che ad oggi parrebbero ancora insostenibili per determinati comparti – e anche alle scelte politiche di Bruxelles che sarebbero troppo direttamente ispirate dai Paesi del Nord Europa.
È questo il quadro emerso nel corso del webinar “Il piano d’azione per l’idrogeno – Valutazioni settoriali sulla domanda di idrogeno al 2030” organizzato da Confindustria ed ENEA per presentare il report “Piano d’azione per l’idrogeno: Focus Tecnologie Industriali”, il primo frutto concreto della collaborazione avviata tra le due organizzazioni in tema di H2.
Dopo l’introduzione di Aurelio Regina, Presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria, e di Gilberto Dialuce, Presidente dell’ENEA, Giorgio Graditi e Claudia Bassano – rispettivamente Direttore e ricercatore del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell’ENEA – hanno delineato i principali contenuti dello studio, che “fornisce un quadro dettagliato con numeri precisi sullo stato di sviluppo e sulla diffusione delle tecnologie per l’idrogeno nel nostro Paese”. A valle di un’approfondita ricognizione svolta tra le imprese aderenti a Confindustria, gli analisti hanno definito l’impatto che l’introduzione di diversi quantitativi di idrogeno in blending col metano (20% e 50%) potrà avere su alcuni industriali (siderurgia, raffinazione, chimica, ceramica, carta, vetro) in termini di costi, domanda di combustibile e di energia, necessità di investimenti in componentistica e impianti e anche potenzialità di decarbonizzazione.
Potenzialità che nessuno mette in dubbio, ma che per esprimersi dovranno superare una serie di problematiche di non poco conto, come ha messo in luce nel suo intervento Antonio Gozzi, Delegato Energia di Federacciai e Presidente del gruppo Duferco: “Noi crediamo che l’idrogeno potrà diventare un elemento fondamentale per decarbonizzare alcune fasi del ciclo siderurgico. Per esempio, i forni di pre-riscaldo dei laminatori non possono essere elettrificati e quindi l’unica soluzione resta l’H2”. E che Duferco voglia percorrere questa strada lo testimoniano i nuovi bruciatori in grado di alimentarsi con miscele di metano e idrogeno (al 15% per il momento) già installati nel nuovo laminatoio di Duferco Travi e Profilati in costruzione a San Zeno Naviglio (Brescia). Ciò non toglie che – secondo Gozzi – sul tavolo ci siano problemi ancora irrisolti, a partire da quello legato ai costi: “Non parlo solo di capex, ma di un vero e proprio economic gap” ha sottolineato l’imprenditore ligure. “Abbiamo fatto degli studi, da cui emerge che, per un impegno in siderurgia, l’idrogeno verde potrà essere competitivo a 3 euro a Kg (previsione già molto ottimistica) solo con il gas naturale a 80 euro a la CO2 a 100 euro. Valori che però ‘ucciderebbero’ di fatto tutti i settori industriali hard to abate prima di arrivare alla transizione. Se invece il gas tornasse su valori più ragionevoli, magari a 50 euro, allora l’equazione starebbe in piedi (idrogeno verde competitivo a 3 euro al Kg) solo con la CO2 a 250 euro a tonnellata”.
Per Gozzi, quindi, i conti di questo switch verso l’H2, per ora, non tornano. Una situazione a cui contribuiscono le politiche UE, che – aggiunge il Delegato Energia di Federacciai – “sul tema dei colori dell’idrogeno sono ancora poco chiare e comunque tendono a privilegiare la variante verde su pressione dei Paesi nordeuropei che possono disporre dell’energia rinnovabile a basso costo prodotta nei parchi eolici offshore de Mare del Nord”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Claudio Spinaci, Presidente di UNEM (la ex Unione Petrolifera), che rappresenta le aziende italiane attive nella raffinazione e nella distribuzione di carburanti per il trasporto, “prima filiera italiana per produzione e consumo di idrogeno”.

Claudio Spinaci, Presidente di UNEM
“Anche per noi il costo dell’idrogeno verde è il problema principale. Bruxelles spinge su questa variante seguendo le pressioni di Francia e Germania (che ha appena annunciato l’esclusione dell’H2 blu dai sussidi pubblici; ndr) che vogliono proteggere la loro tecnologia di elettrolisi, ma secondo noi è imprescindibile partire subito con l’idrogeno prodotto da steam reformign del metano e CCS, che può essere disponibile immediatamente, in grandi quantità e a prezzi più concorrenziali. In questo modo la filiera potrebbe attivarsi con incentivi meno onerosi per la collettività e preparare un mercato per quando la variante rinnovabile sarà effettivamente disponibile a costi competitivi, ovvero non prima di 10-15 anni”.
Per Spinaci resta infatti fondamentale adottare un approccio tecnologicamente neutrale, che tenga conto delle reali performance ambientali dei diversi combustibili, “che però andrebbero misurate non solo allo scarico, ma in relazione all’intero ciclo di vita. In quest’ottica, noi crediamo molto nei carburanti sintetici che possono essere prodotti combinando idrogeno e CO2 e che sarebbero utilizzabili nei motori a combustione interna e distribuibili sfruttando l’infrastruttura attuale”.
All’webinar di Confindustria ed ENEA sono intervenuti anche Pierpaolo Biffi (ANFIA), Roberto Cardini (Vicepresidente Assovetro), Marco Colatarci (Vicepresidente Federchimica), Paolo Marchetti (AGENS), Marco Moffa (Assocarta) e Alberto Montanini (Vicepresidente di ANIMA).