Il CEO del RINA Salerno: “Idrogeno vettore energetico del futuro, ma attenzione a come si indirizzano gli incentivi”
di Francesco Bottino
L’idrogeno e l’ammoniaca sono tra i più promettenti vettori energetici del prossimo futuro, grazie soprattutto alla tecnologia delle celle a combustibile, e se l’industria ‘ci si mette’ il cosiddetto scale-up potrebbe realizzarsi nel giro di pochi anni. A patto, però, che le istituzioni pubbliche siano in grado di attuare politiche di sostegno intelligenti, senza ripetere alcuni degli errori che, almeno in Italia, sono stati compiuti nel recente passato con il fotovoltaico.
La visione del RINA sul tema è chiara, e il Presidente e Amministratore delegato del gruppo genovese Ugo Salerno l’ha illustrata nel dettaglio in questa intervista esclusiva ad Hydronews.
“In alcune aree del mondo, e penso soprattutto all’Africa, all’Australia, al Medio Oriente e a certe zone degli Stati Uniti, il costo di produzione dell’energia rinnovabile diventerà presto prossimo allo zero. Solo alcuni anni fa eravamo oltre i 10 centesimi a kWh, mentre ora stiamo seguendo un progetto di impianto a concentrazione solare a Dubai in cui verrà prodotta energia rinnovabile ad un costo nettamente inferiore” rivela Salerno. “Questo significa che a incidere sul prezzo finale sarà soprattutto il trasporto e, visto che non possiamo immaginare cavi elettrici da un continente all’altro, ecco che l’idrogeno assume un ruolo fondamentale come vettore per il trasferimento e lo stoccaggio dell’energia rinnovabile”.
Ingegner Salerno, su quali progetti sta attualmente lavorando il RINA, in tema di idrogeno?
“Siamo impegnati su vari fronti, per esempio lavoriamo ad un progetto cofinanziato dall’Unione Europea che sia chiama Natural Hy che prevede l’immissione di idrogeno nella rete di gasdotti esistenti. Come ogni nuova tecnologia, anche l’applicazione dell’idrogeno presenta delle sfide. Dobbiamo studiare come esso interagisce con i materiali, le possibilità di trasportarlo e stoccarlo e analizzare il suo potere energetico. La sperimentazione fatta finora è incoraggiante nel farci pensare che possa essere un passo importante per la decarbonizzazione e che lo si possa utilizzare senza intervenire sulle infrastrutture esistenti. Stiamo, inoltre, valutando come l’utilizzo dell’ammoniaca che, contenendo idrogeno, possa contribuire all’obiettivo di riduzione delle emissioni, con possibili impieghi in funzione del mercato e della geografia di riferimento.
Come si realizzerà concretamente il recente accordo di collaborazione che avete raggiunto con Snam, proprio in tema di idrogeno?
“Snam è un’azienda molto innovativa da questo punto di vista, e abbiamo già iniziato a lavorare con loro – ma collaboriamo anche con altre importanti realtà italiane in questo settore, come per esempio Saipem – ad una serie di progetti concreti. Recentemente con Snam abbiamo concluso con successo una sperimentazione presso lo stabilimento siderurgico di Dalmine: abbiamo alimentato un bruciatore a metano da 2 MW del produttore SMS con una miscela al 30% di idrogeno, abbattendo in misura significativa le emissioni di CO2 del ciclo produttivo, e tutto senza alcun intervento di adattamento dell’impianto. Questo ci conferma che disponiamo di una serie di tecnologie già pronte per sfruttare l’idrogeno, a cui va accompagnato un serio impegno in tema di cattura della CO2 e suo riutilizzo. Quello che serve è un cambio di mentalità: il nostro modello di sviluppo non può restare quello di prima”.
L’attuale basso prezzo del petrolio potrebbe in qualche modo minacciare, o quantomeno rallentare, la transizione energetica verso fonti alternative?
“Sono convinto di no. Non sappiamo quanto questa crisi dei prezzi del greggio, che ha ragioni complesse, in parte di carattere commerciale e in parte di natura geopolitica, potrà ancora durare, ma sono convinto che non avrà effetti sulla transizione energetica. Il processo ormai è irreversibile, e si sostiene su una maggiore consapevolezza dei temi ambientali, che la drammatica esperienza del coronavirus ha ulteriormente consolidato, e anche su una crescente competitività delle energie rinnovabili: sono le uniche ad essere cresciute durante i mesi di lockdown.”
Si parla molto cosiddetto ‘scale-up’: il salto dimensionale che l’industria dell’idrogeno deve compiere per rendere il prodotto competitivo in termini di costi. Secondo lei in che fase siamo di questo percorso e quanto potrà durare?
“E’ difficile fare delle previsioni, ma se dovessi sbilanciarmi direi 5 anni. Non certo 20. Basti pensare a cosa è successo col fotovoltaico: si riteneva che non sarebbe sopravvissuto sul mercato senza sussidi, e invece adesso è diventato più competitivo di molte altre fonti energetiche. E l’eolico offshore sta seguendo la stessa strada sperimentando proprio in questo periodo una crescita molto forte, specie nel Mare del Nord. Solo pochi anni fa impianti da 1 o 2 MW erano considerati grandi, mentre oggi i 10 MW stanno diventando lo standard. Penso che, quando l’industria ‘punta’ un segmento, lo sviluppo tecnologico accelera e raggiunge risultati sorprendenti in tempi molto rapidi”.
Come vede lo sviluppo dell’idrogeno e dei suoi derivati in ambito marittimo, e quindi in relazione ai sistemi di propulsione navale?
“L’industria marittima ha davanti una sfida non semplice: l’IMO (International Maritime Organization, organismo collegato all’ONU; ndr) ha stabilito che le emissioni di CO2 delle navi dovranno dimezzarsi entro il 2050. Dando per scontato che i traffici marittimi continueranno a crescere, se non altro in conseguenza dell’incremento della popolazione mondiale, questo significa che ogni singola nave dovrà ridurre non del 50%, ma almeno del 70-80% le sue emissioni di CO2 entro il 2050. Obbiettivo per cui il GNL può fare poco, abbattendo le emissioni di anidride carbonica di meno del 10%. Secondo noi la strada più promettente è l’ammoniaca, su cui diverse sperimentazioni sono già in corso. Certo, anche in questo caso i problemi non mancano, come le emissioni di ossido di azoto che in qualche modo vanno gestite, ma il potenziale è davvero notevole. Specie se ragioniamo in termini di fuel cells. L’ammoniaca non deve essere considerata un carburante per il motore a scoppio, che è una meraviglia della tecnica ma è anche molto complesso, ma piuttosto come il combustibile per alimentare celle che producano energia per motori elettrici. In questo modo si semplifica di enne volte tutto il processo, si aumenta l’efficienza e si riducono gli spazi occupati a bordo dai sistemi di propulsione”.
Quanto saranno importanti, per lo sviluppo di una filiera dell’idrogeno, gli incentivi pubblici? E in che direzione dovranno concentrarsi?
“Il sostegno pubblico è sempre fondamentale per lo sviluppo di nuove tecnologie, perché gli investimenti hanno ritorni di lungo periodo difficilmente compatibili con le logiche di un privato. Ma dobbiamo stare attenti a non ripetere alcuni errori del passato. Con il fotovoltaico, almeno in Italia, si è incentivata la produzione di energia solare e non lo sviluppo tecnologico e la produzione nazionale di pannelli. Questo ha comportato si un temporaneo incremento della produzione di energia fotovoltaica, ma anche la massiccia importazione di impiantistica dall’estero, soprattutto dalla Cina. Non abbiamo creato un’industria nazionale all’avanguardia, cosa che invece dobbiamo fare con l’idrogeno e con le celle a combustibile. Il sostegno va dato allo sviluppo della filiera di tecnologie e componenti, destinate alla produzione e all’utilizzo dell’idrogeno, e non direttamente, o quantomeno non solo, al suo consumo finale. Altrimenti i benefici saranno modesti e limitati nel tempo”.