L’Oxford Institute for Energy Studies analizza le future rotte di importazione dell’idrogeno in Europa

L’Europa ha previsto – nel programma ‘Fit for 55’ – che il suo consumo interno di idrogeno nel 2030 dovrà raggiungere i 20 milioni di tonnellate, domanda che sarà soddisfatta per metà grazie alla produzione domestica e per l’altra metà con importazione di H2 da Paesi extra-UE.

Ma quali saranno i fornitori che emergeranno nel futuro mercato globale di questa commodity, lungo quali rotte si muoverà il vettore energetico e con quali costi?

Sono questi gli aspetti su cui si concentra il report ‘Renewable Hydrogen Import Routes into the EU’, pubblicato nei giorni scorsi dall’Oxford Institute for Energy Studies e consultabile integralmente a questo link.

Il dossier sottolinea innanzitutto che, sulla base dei target contenuti nelle strategie nazionali sull’idrogeno già pubblicate da oltre 50 Paesi, la produzione globale dovrebbe raggiungere i 45 milioni di tonnellate entro il 2030, ma evidenzia anche che nel primo trimestre 2023 i progetti che avevano già ottenuto la FID (Final Investment Decision) avevano una capacità complessiva di soli 2 milioni di tonnellate.

Nello specifico, sempre sulla base dei progetti annunciati, secondo i dati raccolti ed elaborati dall’Oxford Institute for Energy Studies, il picco di crescita della capacità globale dovrebbe verificarsi tra il 2025 e il 2030, quando ogni anno dovrebbe entrare in funzione una capacità produttiva addizionale di 1,8 milioni di tonnellate per l’idrogeno blu e di 5,8 milioni di tonnellate per l’idrogeno verde. Dinamica che poi rallenterà la corsa a partire dal 2030 e fino al 2043, con tassi di crescita annui rispettivamente di 1,2 milioni di tonnellate e 3,6 milioni di tonnellate.

Numeri che “potrebbero non essere realistici” mette in guardia il report, poiché sono relativi ai progetti annunciati, “ma che confermano il crescente interesse per progetti e investimenti relativi all’idrogeno verde che si concretizzerà nei prossimi anni”. L’analisi di questi numeri, secondo i ricercatori di Oxford, evidenzia però anche una serie di criticità: innanzitutto la carenza di accordi di vendita dell’idrogeno prodotto con gli offtaker e poi la mancanza di finanziamenti certi per queste iniziative.

Resta comunque un fatto che l’UE – almeno nelle intenzioni – si stia preparando ad importare almeno 10 milioni di tonnellate annue di idrogeno a partire dal 2030: “Questo mette i Paesi più orientati all’export di H2 nella condizione di poter scalare la produzione di questo vettore energetico e diversificare così la propria strategia di sviluppo economico, anche grazie alla definizioni dettagliate (su cosa sia da considerarsi idrogeno rinnovabile; ndr) che Bruxelles ha recentemente pubblicato, e che possono guidare gli investimenti in questi Paesi”.

Al momento, secondo l’Oxford Institute for Energy Studies, sono 16 i Paesi, delle aree identificate dall’UE come potenziali fornitori, che hanno già definito una propria strategia nazionale per l’idrogeno, ma tra essi soltanto 6 – Australia, Cile, Marocco, Oman, Arabia Saudita ed Emirati Arabi – sono quelli veramente pronti per poter diventare degli esportatori d H2 e derivati verso il Vecchio Continente.

Secondo il report sono questi i Paesi in ‘pole position’ per fornire in prima battuta i quantitativi di idrogeno di cui l’Europa avrà bisogno nel prossimo futuro, soprattutto sotto forma di ammoniaca spedita via nave, che sarà il metodo principale per inviare H2 nel vecchio continente attorno al 2030.