Per la sua nuova gigafactory di elettrolizzatori Ansaldo Energia guarda alle tecnologie più innovative
di Francesco Bottino
Genova – La nuova gigafactory che Ansaldo Green Tech – controllata di Ansaldo Energia – realizzerà a Genova, all’interno dello storico sito industriale del gruppo, si concentrerà sulle tecnologie di elettrolisi più innovative, ovvero SOEC (Solid Oxide Electrolysis Cells) e AEM (Anion Exchange Membrane), e non produrrà invece elettrolizzatori alcalini o PEM.
Lo ha chiarito Luca Rolfi, Hydrogen Product Line Manager di Ansaldo Green Tech, intervenendo in occasione del convegno ‘Liguria: innovazione e idrogeno per il futuro della nostra regione’, svoltosi presso la sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova.
Il progetto, ammesso al programma europeo IPCEI Hy2Tech – il primo Import Project of European Common Interest sull’idrogeno, varato dalla Commissione nel luglio dello scorso anno – tramite cui riceverà un significativo finanziamento pubblico, prevede la realizzazione, come detto nel contesto del polo produttivo di Ansaldo Energia ubicato a Genova Cornigliano, di un sito per la produzione di elettrolizzatori con una capacità complessiva che, nel 2026, raggiungerà i 600 MW all’anno.
“Vogliamo progettare e realizzare il prodotto completo, partendo dalle celle elettrolitiche fino all’involucro esterno della macchina” ha spiegato Rolfi, che nel suo intervento ha anche ricordato come il gruppo sia impegnato sul fronte dell’idrogeno a 360°, con le sue turbine H2-ready già installate in varie location (come a Marghera, nella nuova centrale di Edison) e con una turbina in grado di bruciare anche ammoniaca, in fase di certificazione proprio in questo periodo.
Per quanto riguarda gli elettrolizzatori – ha precisato il manager di Ansaldo – “ci concentreremo sulle tecnologie SOEC (Solid Oxide Electrolysis Cells) e AEM (Anion Exchange Membrane), che oggi hanno un livello di maturità meno elevato di altre soluzioni già in uso, ma che noi riteniamo promettenti e complementari tra loro”.
Come illustrato dello stesso Rolfi, infatti, gli elettrolizzatori SOEC, che lavorano ad alta temperatura, hanno bisogno di tempo per raggiungere l’assetto di funzionamento ottimale, ma una volta a regime raggiungono tassi di efficienza molto elevati per questo tipo di impianti, nell’ordine dell’80%, e possono garantire una produzione in continuità, “motivo per cui sono particolarmente adatti ad essere integrati nel ciclo produttivo delle industrie hard to abate, che per sostituire il metano come combustibile hanno bisogno di un afflusso di idrogeno costante”.
Approccio sostanzialmente opposto a quello degli elettrolizzatori AEM, che lavorano a basse temperature e che trovano il loro punto di forza nella grande flessibilità d’impiego: “In questo caso il contesto di utilizzo ideale è legato a quelle applicazioni dove la produzione di idrogeno deve avvenire a richiesta, magari in momenti diversi a seconda delle necessità” ha concluso Rolfi.
