Snam pensa a dei ‘cluster’ dell’idrogeno dove avviare la fornitura di H2 in mix col metano
di Francesco Bottino
Creare in Italia dei cluster dell’idrogeno, ovvero delle aree – scelte in base alle caratteristiche dell’infrastruttura e alle necessità dei clienti finali – in cui iniziare ad immettere in rete un blend di metano e idrogeno, per poi estendere il modello in fasi progressive a porzioni sempre più ampie di territorio.
E’ questo uno dei tanti porgetti in tema di idrogeno a cui sta lavorando Snam, come ha spiegato Dina Lanzi, Head of Technical Hydrogen dell’azienda italiana, durante il seminario online “Trasporto, Stoccaggio e Handling dell’idrongeo”, secondo di una serie di 5 webinar dedicati all’idrogeno organizzati dall’associazione italiana H2IT, da ANIMA Confindustria Meccanica Varia e da Assolombarda.
Dopo i saluti introduttivi di Piero Torretta, Presidente UNI, che ha richiamato l’attenzione sugli aspetti sociali delle innovazioni tecnologiche, il moderatore dell’webinar Marcello Baricco, Professore Ordinario dell’Università di Torino, ha introdotto il tema dell’evento, ricordando l’importanza della logistica dell’idrogeno, “gas che occupa un volume molto maggiore del metano. Pensiamo soltanto che 1 Kg di idrogeno occupa 11 metri cubi, e che per fare il pieno un’auto a idrogeno ha bisogno di almeno 3-4 kg di combustibile”.
Ecco quindi che tutte le questioni relative al trasporto e allo stoccaggio del prodotto assumono un’importanza primaria nella gestazione di un’industria nazionale dell’H2: “Oggi l’idrogeno si può gestire in forma gassosa a bassa pressione, come avviene nei gasdotti, o compresso per esempio nelle stazioni di rifornimento. E’ poi possibile movimentarlo in forma liquida, che ha il vantaggio di una notevole riduzione di volume, ma in questo caso – ha ricordato Baricco – l’idrogeno deve essere mantenuto a bassissima temperatura con l’utilizzo di tecnologia che ha, ad oggi, un costo elevato”. Infine, esiste la possibilità di legare l’idrogeno ad un carrier “sia esso solido, quindi un materiale in grado di assorbire le molecole di H2 come una sorta di spugna, oppure chimico, e l’esempio più noto e diffuso in questo caso è l’ammoniaca”.
Sul trasporto di idrogeno in forma gassosa, tramite apposite bombole, si è concentrato l’intervento di Cecilia Fouvry Renzi, H2 Trasformation Project Director di Air Liquide, azienda francese leader nella fornitura di gas industriali e medicali presente in 60 Paesi con 65.000 addetti totali.
“La sfida oggi è individuare il modello di supply chain dell’idrogeno più adatto ad ogni cliente, lavorando su un mix tra produzione direttamente in loco oppure trasporto da un sito centrale fino al cliente”. In questo secondo caso, “si può procedere con il trasporto dell’idrogeno in forma gassosa come avviene per lo più oggi. Tipicamente, via camion, si trasportano 300-400 Kg di idrogeno, anche se con lo studio di nuovi materiali si è riusciti ad arrivare in alcuni casi fino a 1.000 kg a spedizione”. Ma il futuro, secondo Fouvry Renzi, è il trasporto via camion di idrogeno liquido, “modalità che consentirebbe di movimentare almeno 3.000 kg di prodotto ad ogni viaggio”.
Attiva nella produzione di bombole per l’idrogeno, e quindi anche nello studio di soluzioni tecnicamente innovative ad alta capacità, è Tenaris, multinazionale leader nella produzione di tubi d’acciaio (23.000 addetti a livello globale e un fatturato di 7 miliardi di dollari nel 2019) che a Dalmine ha un importante impianto produttivo “dove – ha raccontato Stefano Capponi, Business Development Tenaris – produciamo tubi non saldati e anche bombole di varia tipologia per lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno. Quelle per uso industriale e stazionario (200-300 bar); quelle per il trasporto (200 bar ma anche 500 bar); le soluzioni on board (oggi terrestri, in futuro anche mare e aereo) con 350 bar standard (autobus e treni) e 700 bar (veicoli a spazio limitato come auto private); per stazioni di servizio (200 bar, 500 bar, 1000 bar)”.
Un altro modo per stoccare e trasportare l’idrogeno è ovviamente quello di usare dei gasdotti, “e Snam, che gestisce una rete di 33.000 km di pipeline, sta lavorando attivamente per poter sfruttare questa infrastruttura strategica nell’ambito della transizione energetica, prima con l’utilizzo di biometano e ora anche e sopratutto con l’idrogeno” ha assicurato Dina Lanzi, Head of Technical Hydrogen Snam.
L’azienda è impegnata a valutare la compatibilità della rete con l’immissione di idrogeno, prima in mix col metano (sono già stati fatti due test, col 5% e col 10% di H2 in miscela per clienti industriali in Campania, sperimentazioni di cui nei giorni scorsi ha parlato addirittura il New York Times) per arrivare poi ad un 100% di idrogeno puro. “Immaginiamo – ha spiegato Lanzi – di creare dei distretti, dei ‘cluster’ dell’idrogeno, dove distribuire regolarmente il mix con l’H2 al posto del solo metano. La definizione delle aree da cui partire è dettata dalle caratteristiche della rete e anche dalle necessità degli utenti, specie quelli industriali. Al momento infatti abbiamo dei ‘paletti’: dobbiamo evitare i distributori di CNG (che da normativa possono gestire al massimo i 2% di idrogeno) e anche i siti di stoccaggio, che necessitano di approfondimenti specifici”.
Ma il lavoro di Snam si sta concentrando proprio per superare queste limitazioni: “Il modello dei cluster punta a immettere immediatamente la massima quantità di idrogeno possibile in determinate aree, data l’attuale infrastruttura. Ma l’obbiettivo di lungo termine è certamente quello di arrivare al 100% di idrogeno, e per questo stiamo svolgendo analisi tecniche per capire quali sono gli interventi necessari ad adattare la rete, e stiamo anche dicendo ai nostri fornitori che da ora in poi Snam si orienterà componenti certificate come ‘hydrogen ready’ ”.
Esiste poi un aspetto normativo, che al momento presenta ancora profili di incertezza, ha ricordato Lanzi: “Stiamo rivedendo la nostra regolamentazione interna e, per il mix fino al 10% di idrogeno, ci rifacciamo alla normativa tecnica prevista per il metano, perchè di fatto non ci sono grandi differenze. Mentre per i blendig con quantitativi di H2 superiori, in via precauzionale, adottiamo la regolamentazione definita da un ente americano per la gestione dell’idrogeno puro”.
Il tema normativo è, come per tutte le innovazioni tecnologiche di vasta portata, particolarmente rilevante, e gli organismi tecnici sono al lavoro: “Disponiamo di 33.000 km di condotte per il trasporto di gas e di una fitta rete di distribuzione finale, asset fondamentali da sfruttare anche in chiave idrogeno” ha ribadito nel suo intervento Cristiano Fiameni, Direttore Tecnico del CIG (Comitato Italiano Gas), ente federato all’UNI che fa parte del comitato europeo CEN/TC 234, “che sta studiando proprio tutti gli aspetti tecnico-normativi dell’immissione di idrogeno nell’attuale network europeo del gas. Entro fine anno verrà pubblicato un primo documento che ovviamente non sarà definitivo, ma evolverà seguendo le dinamiche di questo nuovo mercato. Comunque penso che nel giro di 3 anni dovremmo avere un impianto normativo organico e completo sull’idorgeno”.
La materia e ampia e contempla aspetti tecnici e, ovviamente, anche aspetti relativi alla sicurezza, che sono stati illustrati nel dettaglio, per gli ambiti di competenza, da Luigi Capobianco, del Copro dei Vigili del Fuoco.