Tecnologie per l’idrogeno: UE e Giappone in testa alla classifica mondiale per numero di brevetti
I nuovi brevetti nel settore dell’idrogeno sempre più spesso riguardano tecnologie per l’H2 green e low-carbon, grazie ad una corsa allo sviluppo che vede saldamente in testa Unione Europea e Giappone, mentre gli Stati Uniti restano indietro faticando a tenere il passo.
A scattare la fotografia del percorso di evoluzione del comparto è il nuovo studio ‘Hydrogen patents for a clean energy future: A global trend analysis of innovation along hydrogen value chains’ (consultabile integralmente a questo link) appena pubblicato dall’European Patent Office (EPO) e dall’International Energy Agency (IEA).
Il dossier utilizza i dati raccolti dai registri dei brevetti a livello globale per analizzare l’attuale stato di sviluppo delle tecnologie per l’idrogeno, comprendendo nel lavoro di ricerca tutte le componenti della value chain: dalla produzione allo stoccaggio fino alla distribuzione e agli utilizzi finali.
“L’idrogeno giocherà un ruolo cruciale nel processo di decarbonizzazione dell’Europa, ma per esprimere tutto il suo potenziale ha urgente bisogno di un ampio range di tecnologie innovative” ha spiegato il Presidente dell’EPO António Campinos. “Il nostro studio evidenzia una serie di indicazioni incoraggianti e conferma che il Vecchio Continente è uno dei protagonisti di questo percorso di evoluzione tecnologica”.
“I dati raccolti ci dicono – ha aggiunto Fatih Birol, Executive Director dell’IEA – che gli innovatori stanno rispondendo alle necessità tecnologiche della nascente hydrogen economy, ma mettono in luce anche una serie di aree, specielmente nel campo degli end-user, che necessitano di ulteriori sforzi”.

DAl report, che analizza i maggiori trend tecnologici nel campo dell’idrogeno tra il 2011 e il 2020, considerando le International Patent Families (IPFs), emerge il primato di Europa e Giappone, che hanno presentato rispettivamente il 28% e il 24% di tutte le IPFs relative al periodo preso in esame, con un trend di crescita costante nel corso del decennio.
All’interno dell’UE, il Paese più prolifico da questo punto di vista è stato la Germania, con l’11% delle IPFs, seguito da Francia (6%) e Olanda (3%). L’Italia si trova in quinta posizione. Per contro gli Stati Uniti, con il 20% dei brevetti totali nel settore idrogeno, sono l’unica macro-area geografica ad aver visto il numero di IPFs calare nel corso del decennio.
Resta ancora modesto, anche se in decisa crescita ultimamente, il numero di nuovi brevetti in ambito H2 da parte di Cina e Corea del Sud, mentre presentano un volume di IPFs significativo, seppur minore rispetto a quello dei principali hub di innovazione citati, Gran Bretagna, Svizzera e Canada.

Per quanto riguarda la tipologia di brevetti, a farla da padrone sono quelli relativi alle tecnologie di produzione, con una netta preponderanza di IPFs relativi all’idrogeno low-carbon, che sono oltre il doppio di quelli che invece riguardano l’idrogeno cosiddetto grigio. In particolare, nel 2020, l’80% dei nuovi brevetti riguardava tecnologie sviluppate per ragioni climatiche, con una netta preponderanza di soluzioni per l’elettrolisi.
Sul fronte degli utilizzi spicca invece il comparto della mobilità privata, la cui innovazione è in forte crescita ed è guidata dal Giappone e dalla sua industria automotive. Più statica, invece, la situazione per altri settori che pure – almeno stando alle policy europee e non solo – dovrebbero essere direttamente coinvolti dalla diffusione dell’H2, ovvero il trasporto merci su lunga distanza, l’aviazione, la power generation e il riscaldamento. Con l’eccezione – sottolineano EPO e IEA –dell’industria siderurgica, ambito nel quale il dossier evidenzia una recente ma chiaramente avvertibile crescita del numero di brevetti.
Lo studio evidenzia infine l’importanza delle start-up che detengono brevetti: pur essendo solo il 20% delle start-up analizzate, queste società (quelle appunto dotate di un brevetto per una tecnologia innovativa riguardante l’H2) sono riuscite ad attrarre oltre la metà dei 10 miliardi di dollari investiti come ‘venture capital’ nel settore dell’idrogeno durante il decennio 2011-2020.